Dalle pagine di cronaca del giornale "L'Arena"
Domenica 24 novembre 2002


Storie diverse di emarginazione e riscatto raccontate dai protagonisti agli allievi del liceo pedagogico Montanari

Il carcere tra riflessione e voglia di riscatto

Cinque persone in semilibertà hanno spiegato come affrontano la reclusione

C'è Olsi, albanese, sui 25 anni, che racconta di come «ho capito il valore di lavorare onestamente, dopo che ero venuto in Italia solo per delinquere» e di come nelle piccole cose si possa riscoprire il senso della vita anche dietro le sbarre. C’è Renzo, 47 anni, che sogna l’ora di libertà «come occasione di riflessione, per capire dove ho sbagliato». E poi c'è Wilson, nigeriano, che parla di come è facile che un immigrato sbattuto solo in un Paese straniero, se non ha supporti sociali, possa cadere in brutti giri. Storie di carcere. Storie di lente ma possibili rinascite ieri nell’aula magna dell’Istituto Cangrande dove cinque detenuti, in semilibertà, hanno parlato agli studenti del liceo pedagogico e delle scienze sociali Montanari, impegnati nel progetto Carcere e scuola. Un progetto, coordinato dall’insegnante di filosofia Ferdinando De Marchi, articolato in varie fasi, come le partite di calcio e di pallavolo tra studenti liceali e detenuti del carcere di Montorio, una proiezione del video sul carcere, incontro con psicologi, volontari, operatori di associazioni, insegnanti che vi operano.
Ieri il faccia a faccia con i detenuti, con una sottolineatura sul tema tossicodipendenti e immigrati in carcere (tra i detenuti a Montorio sono rispettivamente il 30 per cento e oltre il 50 per cento) con l’aiuto di Jean Pierre Piessou, che opera all’uffico stranieri della Cgil.
Storie di carcere, dette con sincerità. C'è chi guarda al bicchiere mezzo pieno, pur nelle inevitabili difficoltà di una «giornata dentro» e c'è chi sbatte lì «l’arido vero». «Celle da otto metri quadrati per tre persone, una tivù grande come un videocitofono, ore d’aria dentro vasche di cemento esposte alle intemperie, letti durissimi. Sì, insomma, vita non facile». Una studentessa chiede: «Ma in qualche modo non ve la siete cercata?». I detenuti ammettono di sì, ma poi arrivano al nocciolo della questione. Ovvero: recuperarsi in carcere. Quindi, dicono, servirebbero reali possibilità per svolgere una rieducazione, in prospettiva di un reinserimento sociale. Gigi, intanto, dice che «carcere è anche scuola di crimine» ma poi ringrazia la Comunità Exodus di don Antonio Mazzi, dove ora opera, per averlo seguito e aiutato a lasciare la tossicodipendenza. Anche questa è libertà.  ( e.g. )