«Se ci
fosse una educazione del popolo tutti starebbero meglio». Si apre così
"L’appello per l’educazione", che sta scuotendo il dibattito culturale
nel nostro Paese, firmato da una sessantina di personalità della
cultura, dell’economia e della società italiana, (da giornalisti come
Magdi Allam, Maurizio Belpietro, Dino Boffo, Ferruccio De Bortoli,
Giuliano Ferrara, Paolo Liguori, Mauro Mazza, Antonio Polito, Carlo
Rossella, a banchieri come Bazoli, Guzzetti, Mazzotta, a docenti o
rettori universitari come Botturi, Cesana, Chiosso, Israel, Ornaghi,
Ribolzi, Roversi Monaco, Zamagni, a uomini di spettacolo come Pupi Avati,
Franco Branciaroli, a protagonisti della società civile come Andrea
Muccioli o Giorgio Vittadini, per citare solo i nomi più noti). Tutti
accomunati dalla convinzione che la vera emergenza nazionale non sia la
politica né l’economia, ma qualcosa che precede queste dimensioni del
vivere civile, cioè l’educazione; infatti attraverso di essa «si
costruisce la persona, e quindi la società», come dice il testo
dell’appello. Fatti di cronaca recente confermano l’allarme: dalle
violenze giovanili di gruppo al silenzioso disagio di tanti ragazzi,
storditi dalla noia e dallo scetticismo di chi non crede che i propri
desideri si possano realizzare, privi di speranze e quindi in balia
delle mode e del potere. Gli estensori dell’appello considerano
«l’educazione l’introduzione alla realtà e al suo significato», per cui
si rende necessaria la presenza di maestri autorevoli, capaci di
consegnare ai giovani i frutti migliori della nostra tradizione. È la
strada prospettata da un grande educatore come don Luigi Giussani,
recentemente scomparso, autore di un libro come Il rischio educativo,
apprezzato anche da chi non condivide la sua fede cristiana.
Anche a Verona diverse personalità della cultura e dell’educazione si
sono confrontate sulle tesi dell’appello, aprendo un dibattito che
appare tanto interessante quanto urgente. Afferma per esempio Maurizio
Cortese, presidente della sede veronese dell’Associazione Professionale
di insegnanti Diesse (Didattica e innovazione scolastica), tra i
promotori dell’appello: «finalmente si sta comprendendo che l’educazione
riguarda tutti, che si tratta di un problema che tocca l’intera società:
non è prima di tutto una questione di competenze o di ruoli, né una
problema di schieramento politico; investe tutta la società e nello
stesso tempo interpella la singola persona». |
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Anche Stefano Quaglia,
dell’Ufficio Scolastico del Veneto e intellettuale ben noto della
cultura veronese, dichiara di riconoscersi nei contenuti dell’appello, a
cominciare dai toni "quasi da bar", che vengono utilizzati, e dalla
sostanza "consapevole e matura". «Tutti coloro che hanno a cuore la
stabilità della nostra comunità civile, che sembra disorientata nella
narcosi dei consumi e rimbecillita nella girandola della distrazione,
devono ritrovare la concretezza delle parole», prosegue Quaglia. Ma c’è
una tentazione nel mondo odierno: quella di cedere al cinismo, magari
«mascherato da sorrisi di cordialità o da simpatiche preterizioni di
cortesia», poiché «nulla si fa più in nome di un ideale comune, di una
ricaduta generale su tutta la società»; tuttavia la tentazione è vinta
«nella convinzione che l’impegno per l’educazione è oggi più che mai
necessario. Anzi è proprio in questo campo che si gioca la credibilità
stessa di una cultura che vuol essere comunque per l’uomo».
Sulla
stessa linea Calogero Carità, dirigente scolastico del liceo delle
scienze umane Montanari, per il quale «gli istituti che una volta
agivano in perfetta sincronia, famiglia, scuola, Chiesa, oggi agiscono
separatamente e parlano ai giovani lingue diverse e spesso
contrapposte»; dal suo privilegiato punto di osservazione, Carità
individua nella scuola una scarsa capacità di «incidere profondamente
sulla formazione civile dei giovani dato che essa talvolta è chiamata
impropriamente a fare da supplente alle carenze educative della
famiglia».
L’appello è sottoscritto anche da Luciano Carazzolo dirigente scolastico
del liceo Medi di Villafranca, il quale si sente interpellato prima come
genitore che come preside.

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«È una richiesta ad essere
e a operare controcorrente, a partire da un comportamento che chiedo
innanzitutto a me stesso; quindi sento giusto il richiamo dell’appello
come concreto e ancorato alla ragione, al senso critico, al bisogno di
senso, libero da ideologie e pregiudizi e capace di rischio, perché si
tratta di fare i conti con la libertà dei giovani e di ogni persona con
cui interagiamo», conclude Carazzolo. Convinta è anche l’adesione di
Umberto Fasol, dirigente scolastico dell’istituto Alle Stimate, che
sottolinea l’importanza di un percorso educativo che aiuti il ragazzo a
«cercare il contatto con la realtà oggettiva, ad essere esigente
nell’analisi e ad essere critico nei confronti di tutte le ipotesi
interpretative che gli vengono proposte, per stimolare in lui la ricerca
continua di una verità che ci precede e che è trasversale ad ogni tipo
di indagine». Necessaria appare oggi la sfida al relativismo culturale,
che induce a pensare che tutto sia uguale e, in fondo, privo di senso.
Conclude Fasol: «Se non educhiamo i giovani a riconoscere ciò che è bene
e ciò che è male, ciò che è vero e ciò che è falso, come potremo sperare
che crescano felici?».
L’impressione è che questo dibattito sia appena agli inizi; la speranza
che esso prosegua, anche nella nostra città, con interventi e proposte
sempre più estese ed autorevoli.
Per il testo completo dell’appello si veda www.appelloeducazione.it.
(c. bort.)
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